9/28/2007

Stagista e contenta

C'era una volta una bambina di nome Sara che in ebraico significa principessa.
Primogenita di una famiglia medio-borghese, la piccola si trovò sin dalla nascita segnata da una valanga di aspettative.
Dai pronostici di nonna Giovanna che la vedeva già sposata a 22 anni con un avvocato, alle attese di zio Marco che agognava per lei un principe azzurro che la facesse divertire a più non posso portandola a mangiare un gelato tutte le sere in provincia di Perugia, a quelle di mamma Simonetta, che confidava in una professoressa di Lettere, che non si allontanasse mai troppo da casa e che imparasse l'inglese al corso della parrocchia a 150 mt dalla propria abitazione.
Crescendo la principessa conobbe Ingrid l'aspirante attrice, che le insegnò numerose cose: come rollarsi una canna a bandiera, Shakespeare, il concetto di shottino, la passione per i cani e il saper riconoscre un trip vero da un fasullo pezzetto di carta.
Ma ormai stanca di ubriacarsi quasi ogni sera e sul punto di invaghirsi delle donne, Sara decise infine di dare una nuova sferzata al suo quotidiano con un principe azzurro.
Lo trovò in un aspirante avvocato, passando dal concetto di peace and love a quello di dungeos and dragons ed esaudendo inaspettatamente le dolci attese di nonna Giovanna. Ma l'idillio fu presto interrotto, quando la principessa ebbe la pretesa di costruire un rapporto serio, roba da matti, a soli 22 anni.
La svolta arrivò con l'incontro di Valerio l'aspirante uomo giusto, che insegnò a Sara i segreti della vita: come divertirsi senza bere, il concetto di selezione delle persone giuste, la passione per Beppe Grillo, quella per gli aperitivi e l'angoscia del trovare lavoro.
Fu così che la principessa tagliò il traguardo della laurea cum lode e che iniziò a cercare coscienziosamente uno stage in qualche redazione giornalistica per imparare il lavoro sul campo.
Mesi e mesi di copiaincolla del suo curriculum videro la luce in fondo al mese di Settembre.
Lungo la strada della Cristoforo Colombo, la principessa corse incontro al primo stage che non si scorda mai, sulla sinfonia di clackson di utilitarie, con la speranza di un futuro contratto a progetto, il cuore in gola, e la messa in piega perfetta per l'occasione.
Nonna Giovanna si fece ormai una ragione del fatto che Valerio non fosse un avvocato ma un laureato in lettere senza chiare prospettive, zio Marco rinunciò al sogno di vedere la nipote con un gelato di produzione umbra in mano, mamma Simonetta continuò a buttare lì ogni tanto un: " Non sarebbe meglio un bel concorso”e la principessa Sara visse, senza che nessuno le spiegasse come farlo, stagista e contenta.

Confusa e aspirante settantenne


Primi di agosto ancora a Roma.
Oltre ad afa e sonnolenza fino ad almeno le sei del pomeriggio, l'estate cittadina mi offriva comunque diverse opportunità di svago: musica dal vivo, spettacoli itineranti e kebab ogni 3 stand su 5. Mentre aggiravo la mia sindrome esistenziale da cercasi stage per cominciare a lavorare, la neo isola pedonale del quartiere san Lorenzo mi insegnava qualcosa di piacevole. In un canonico martedì di piena estate, io ed amici, freschi d’abbronzature sotto il sole di Fregene,un po’ annoiati e tutt'altro che decisi, ci trascinavamo nel quartiere,per eccellenza, dei punckabestia con seguito di cani d’ogni razza e loro escrementi lasciati in strada.
Poco male: la piazzetta di santa immacolata non era finalmente quella solita di p.za trilussa, ma soprattutto, ormai resa isola pedonale appunto, era ( ed è )colma di tavoli e sedie che evitano di accomodarsi in terra accanto ai maleodoranti bisogni. L’atmosfera? La stessa di sempre: giovani, con una birra in mano, qualcuno che suona il bongo. Un’aria di noia generale fra noi che si esce un po’ tutte le sere. Finchè, sulla mia destra notavo lui: il centro anziani san Lorenzo.
Sembrava di essere in una di quelle sagre paesane dove vecchi e giovani si ritrovano nello stesso posto e, soprattutto, dove sono i “nonni” a dimostrarsi più vitali dei ragazzi.
Dal loro stand si alzavano inni romaneschi sulle note di chitarra e mandolino. Un uomo sui 70 anni cantava coinvolgendo una gran folla di giovani attorno, 3 ragazze cominciavano a ballare e i punckabestia, solitamente tanto schivi con le persone, si abbandonavano a sguardi di complicità con la gente. Al ritorno, verso la via di casa, ricordo di aver subito calpestato un bisognino lasciato in terra: fuori da quell’isola, tutto tornava ( e torna) alla normalità.
Ora vorrei solo che fosse già inverno. E che le mie esperienze mi rendessero come quel vecchio sulla settantina: pieno di vita, contagioso, ma soprattutto:senza il problema di trovar lavoro!
D'altronde lui mi risponderebbe con la questione della pensione...a ognuno il suo. Ma che l'inverno, o il momento di crescere, un'offerta, qualcosa (!) si sbrighino ad arrivare! Non c'è più tempo per aspettare. E' solo il momento di imparare.