9/17/2006

Morti di Fama

Fame di fama.
Non per un gioco di parole, ma perchè
- a quanto pare -
il successo ci farebbe vincere le nostre paure.

E così si compirebbe il vangelo secondo Andy Warrol.

Daltronde come negare che 15 minuti di celebrità non sarebbero un toccasana per la salute mentale di chiunque..

Ma facciamo un passo avanti, o meglio indietro.

Scaviamo, parliamone insomma.

Anzichè fermarsi sull' argine dei nostri timori, temporaneamente sceso per la potenza della fama, immergiamoci per incontrare qualcosaltro:

Individualismo e Globalizzazione, sempre loro. Che hanno creato un ampliamento dello spazio d' azione e dunque di autorappresentazione, a livello mondiale. Uno spazio di connessioni virtuali fra tutto il pianeta, o giù di lì.

Ora: accanto agli indiscussi risvolti neri di cui dispongono, Individualismo e Globalizzazione - la sempreverde coppia del secolo, degna di copertina per le migliori testate gossippare - celerebbero in sè anche un germe positivo.

E' indubbio che lo spazio creato dal loro rapporto ' confuso e felice ' goda delle caratteristiche di ETEROGENEITA' e TRANSFRONTALITA' .

Le quali, oltre ad essere due parolone da cervellotici in cattedra, hanno anche il potere di aver rinnovato i tradizionali sistemi economici, politici, sociali e dunque culturali che il nostro beneamato mondo ospita. Almeno nel modo di pensare.

Ed ecco che, potenzialmente, germina una nuova intelligenza collettiva, fondata sul rispetto e la fattiva considerazione di ogni competenza del singolo.

Nonchè sul concetto per cui il Sapere umano costituisca esso stesso uno spazio - in qualunque ambito operi, nel ' frivolo ' come l' utile - , nascendo da ognuna delle attività, pragmatiche e immaginative, emerse dall' interrelazione fra singoli.

Per cui le competenze individuali acquisterebbero senso in relazione all' intero collettivo entro il quale si organizzano.

Da questa nuova epocale consapevolezza, un nuovo epocale senso di autostima

- ebbene sì, non stiamo sempre lì ad autolederci..-

Se io sono uguale a te, io sono anche - e soprattutto - diverso.

O forse, speciale.

Perchè ti servo.

Perchè il collettivo ha bisogno anche di me.

E se questo collettivo è individuato dal contatto e l' interrelazione globale, equivarrebbe a dire che poggia sull' apparire - senonaltro virtuale - di ogni suo singolo componente.

La fame di fama non ha solo a che vedere con le nostre paure dunque - e mi perdoni tutta la categoria degli psicologi sociali, Orville Brim in testa - .

Il desiderio di mostrarsi sarebbe un vero e proprio diritto.

E i 15 minuti di celebrità, da desiderati, sarebbero divenuti ' pretesi '.

Daltronde, se il contributo di ognuno è imprescindibile come la singola nota in una sinfonia mozartiana, come negare l' esigenza di questo diritto?

La gerarchizzazione di competenze tende a dissolversi nel nostro pensiero: ciascuno ha da dire la sua. E forse 15 minuti non sempre gli sono sufficienti.

Il problema perciò non risiederebbe nel concetto di fama in sè. Chè esso può spalancare anche orizzonti fecondi.

Piuttosto - oserei - nello stadio ancora pre-natale di questa nuova consapevolezza del Diritto alla Fama: pochi di noi sono davvero pronti a saperla gestile. Molti non sanno assumerne la responsabilità.

E capita di pensare che magari siano sufficienti una testa mesciata e delle carni denudate - tanto per fare un esempio - nel dare il proprio contributo al mondo.

Il chè sarebbe anche accettabile, se solo le cosciescosciate servissero a smuovere ' altro ' che il testosterone, e - si badi bene - lo ritengo plausibile.

Il punto è che reality, letterati e letterine dovrebbero meglio riuscire a farci credere nel loro necessario interscambio su questa terra, come gli incastri che permettono ad un orologio di mettersi in moto, di esistere insomma.

La fama fine a se stessa è un reato.

Ma non quando implica che ciascuno possa ' metterci del suo '.

Che ognuno cerchi di rifletterci..

1 Comments:

  • At 4:13 PM, Anonymous Anonimo said…

    avevi mangiato pesante?
    7mod

     

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